La storia di Ottavia Fornaciari, dottoressa specializzanda in ginecologia che ha abbandonato Milano per salvare vite in Sierra Leone. Combatte i pericoli della malaria e della malnutrizione.
La storia di Ottavia Fornaciari è un concentrato di coraggio, forza e altruismo. La giovane donna, infatti, ha solo 29 anni ed è una dottoressa, specializzanda in ginecologia. Ha fatto una scelta di vita davvero difficile ma allo stesso tempo encomiabile. Era operativa presso l’ospedale Buzzi di Milano. Ha abbandonato tutto, compresi comodità e agi del capoluogo lombardo, per traferirsi in un remoto villaggio del Sierra Leone.
La dottoressa lì affronta quotidianamente “nemici” tremendi come malaria e malnutrizione, piaghe che affliggono la maggior parte dei locali. In un contesto tanto grave, ogni gesto sembra una goccia nell’oceano, eppure l’operato di Ottavia Fornaciari e dei suoi colleghi è davvero una missione, una vocazione. Ogni giorno fanno nascere neonati in un luogo colmo di emergenze mediche praticamente inesistenti nella società occidentale.
La storia della dottoressa Ottavia Fornaciari: da Milano al Sierra Leone per far nascere i bambini in Africa
Ottavia Fornaciari è una presenza che spicca all’interno dell’ospedale in cui opera in Sierra Leone. Non passa di certo inosservata; lei, infatti, è l’unica dottoressa “pumui”, ossia di pelle bianca. La sua esperienza è stata raccontata dalla redazione de “Il Corriere della Sera”. “Molti miei colleghi di specializzazione rimasti a Milano sono ancora relegati al ruolo di osservatori” – dice la dottoressa Fornaciari – “Magari non hanno fatto neanche un cesareo. Io qui ne ho dovuti fare da subito. Non si può fare altro, c’è quasi sempre un’emergenza”.
Si è trasferita nel paese africano ormai da tre mesi durante i quali ha visto più volte piombare la morte in modo inesorabile. Davanti ai suoi occhi si sono spente quattro partorienti mamme; i bambini che non ce l’hanno fatta non li conta più.
Denuncia la mancanza di strumentazioni adeguate e la precarietà delle attrezzature. Tuttavia, la dottoressa Ottavia Fornaciari riesce ancora a godere delle gioie che il suo lavoro le riserva come il pianto vigoroso di un bambino appena nato o i gesti di gratitudine dei neogenitori. Una madre, per esempio, ha deciso di chiamare la sua figlia Ottavia, proprio in omaggio alla dottoressa che l’ha aiutata a farla nascere.
La giovane specializzanda ha deciso di traferirsi per rispondere all’impellente bisogno di assumersi maggiori responsabilità e fare la differenza. L’incontro con il Cuamm, un’organizzazione che si occupa di allestire tirocini in ospedali di otto Paesi riconosciuti dalle università italiane, è stata la spinta che le serviva verso questa esperienza significativa e atruista.
Sapeva che la realtà del Sierra Leone sarebbe stata diversa e molto più difficile rispetto a quella a cui era abituata. É una nazione dove vita e morte hanno una dimensione diversa. L’accesso a internet è complicato, quasi un lusso. Sono i bisogni primari la vera priorità. Ottavia Fornaciari comunica con i propri pazienti tramite un dialetto africano, unica lingua conosciuta.
Quasi tutti i bambini hanno la malaria e sono malnutriti. Le donne che si recano in ospedale per partotire spesso arrivano da villaggi lontanissimi in condizioni già estreme. Spesso vanno via subito dopo il parto perché devono tornare al lavoro nei campi. “A volte si deve improvvisare e bisogna avere molto sangue freddo per non commuoversi” – ha concluso la dottoressa.